ULTIM’ORA DALLA CHIESA: La messa domenicale diventa a pagamento | Sgancia la quota o ti fermi sul sagrato

La Chiesa chiede una "tassa" d'ingresso (Foto: wikicommons) - Bitonto TV
La Chiesa introduce una nuova “quota” per i fedeli: una regola inaspettata fa discutere e divide l’opinione pubblica
Immagina questo scenario: è domenica e stai per entrare in chiesa con la tua famiglia.
Tuttavia, proprio un attimo prima di varcare la soglia scopri che, senza una quota da versare, l’accesso alla messa non è più garantito.
Un’istituzione già ricchissima, con immense proprietà e finanziamenti, ora chiede un contributo anche ai fedeli?
La notizia ha fatto infuriare molti, ma la verità è ancora più incredibile.
La messa non è più gratuita: la Chiesa chiede un contributo all’ingresso
Da secoli, la Chiesa accumula ricchezze su ricchezze, possiede immobili ovunque dal valore inestimabile e riceve donazioni dai fedeli di ogni angolo di mondo. Eppure, tutto questo potere economico pare non essere sufficiente. Tra scandali finanziari e privilegi fiscali, ora la Chiesa chiederà una sorta di “tassa” al fine di poter assistere alla messa domenicale, da sempre gratuita per tutti i fedeli.
È davvero possibile che, dopo anni (se non addirittura secoli) di offerte, lasciti e denaro proveniente – tra le altre cose – anche dall’8×1000, la Chiesa voglia monetizzare anche sulla comune partecipazione ad un rito religioso? La notizia ha dell’incredibile. Difatti, non stupisce che abbia suscitato scalpore, rabbia e polemiche tra i devoti (e non solo). Cerchiamo di capire meglio la situazione una volta per tutte.

La verità dietro la nuova “tassa” d’ingresso chiesta dalla Chiesa
In realtà, non la Chiesa non comincerà propriamente a chiedere soldi per poter assistere alla messa. Tuttavia, una vicenda molto simile ha suscitato un tema spinoso: l’utilizzo del denaro pubblico per finanziare, ad insaputa dei contribuenti, i riti religiosi della Chiesa. Stiamo parlando di un caso emerso a Teramo, dove un frate è stato rinviato a giudizio per aver percepito il Reddito di cittadinanza in modo illecito. Se di fatto il religioso era stipendiato dal Reddito di Cittadinanza, a pagarlo per i suoi servigi, indirettamente, sono stati nient’altro che i contribuenti italiani.
Pertanto, è come se i fedeli (e non) fossero stati a chiamare a versare un contributo per i servizi della Chiesa. Questa vicenda solleva interrogativi molto più ampi: quanti altri casi simili potrebbero esistere? Quanti soldi dei contribuenti italiani volano nelle mani della Chiesa, senza che gli stessi ne siano a conoscenza? In conclusione, quanti soldi pubblici finiscono, direttamente o indirettamente, a finanziare individui che già fanno parte di un’istituzione benestante? Non resta che riflettere su questo tema.